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Sì a indagini difensive commissionate all’investigatore privato direttamente dalla persona offesa anziché dal suo difensore.

È utilizzabile in sede penale la relazione redatta dall’Investigatore privato autorizzato, che abbia svolto le indagini a richiesta della parte lesa, anziché su incarico del difensore che la assiste?

Per la Corte d’Appello tridentina, nulla osta a che il c.d. “report” del detective privato che sia stato incaricato soltanto dal diretto interessato (“il singolo che ne abbia interesse”) ad accertare un determinato “tema di indagine” venga speso nell’ambito del processo penale, poiché, da un lato, la sua natura è quella di fonte probatoria sottoposta alla libera valutazione del giudicante e, dall’altro lato, non è ravvisabile nel nostro Ordinamento un sistema di prova legale nominato.
L’affermazione della legittimazione ad attribuire il mandato a indagare all’investigatore privato in sede penale, da parte della stessa “parte assistita”, non è affatto scontata.
Si ponga attenzione alla rilevanza degli interessi e dei diritti che possono essere attinti da una indagine commissionata da un privato che si ritenga persona lesa in un procedimento penale, al di fuori di ogni forma di controllo da parte della “difesa tecnica”, in grado di saggiare la fattibilità delle investigazioni e la opportunità di comunicarne in tutto o in parte (anche ad evitare qualsivoglia ritorsione) le risultanze all’assistito.

Infatti, se alla volontà dell’assistito va riconosciuto un peso specifico determinante, al fine di esercitare il diritto di difendersi indagando e provando, va senza dubbio ammesso che la legge n° 397/00 è stata strutturata per escludere che l’assistito sia fornito della capacità legale d’indagare sfruttando in prima persona l’apparato predisposto dal codice di rito penale: in dottrina si è rilevato come il legislatore ha individuato soltanto il difensore quale destinatario della disciplina delle indagini difensive, rimanendo indifferente verso le attività che la parte privata può intraprendere in sede extrapenale, purché nella sfera del lecito. Dunque, con buona pace della tesi fatta propria dalla Corte trentina, la legittimazione a indagare risiede nell’assunzione della qualità sostanziale di difensore, ovverosia nell’atto di nomina.
Per contro, militano in senso contrario le opinioni di coloro secondo cui il privato cittadino coinvolto in un procedimento penale può svolgere per proprio conto indagini per reperire fonti di prova da utilizzare nel successivo dibattimento ma, in tal caso, se il privato cittadino di sua iniziativa si rivolga direttamente a un’Istituto d’investigazione privata, il rapporto che s’instaurerà non sarà quello previsto dall’art. 327-bis c.p.p., ma sarà disciplinato dall’art. 135 del T.U.L.P.S. (senza esonero ex art. 222 cit., quindi, dall’annotazione nel registro degli affari del compenso pattuito per l’espletamento dell’indagine, della data e della specie dell’operazione effettuata, dell’esito delle operazioni e dell’indicazione dei documenti forniti dal committente ai fini della sua identificazione nonché delle generalità della parte, senza poter altresì utilmente opporre il segreto sugli atti d’indagini compiute agli ufficiali e agli agenti di pubblica sicurezza che intendano visionare il registro de quo).
Peraltro, qualora il mandato all’investigatore sia stato conferito dal difensore della P.O., egli è certamente tenuto a conformarsi alle prescrizioni che governano la peculiare procedura di cui al combinato disposto degli artt. 391-nonies e 327-bis c.p.p., siccome disposizioni che tutelano la “trasparenza” dell’attività defensionale.
In ogni caso, l’esito dell’attività investigativa dovrà risultare dalla relazione finale prodotta agli atti del giudizio nonché venire riferito direttamente in aula dall’investigatore privato, che andrà escusso nel contraddittorio delle parti.
Peraltro, per la cennata Corte territoriale di Trento l’investigatore andrebbe citato in qualità di testimone, nell’ambito di un giudizio ordinario, mentre è ben risaputo che costui – che assumerebbe tale veste se udito nelle cause civili – va sentito quale Consulente Tecnico di Parte (c.t.p.) nel processo penale.
Laddove l’imputato abbia optato per il rito abbreviato, se la relazione dell’Investigatore privato sia “entrata” legittimamente nel fascicolo processuale, nessuna conseguenza può trarsi dal fatto della mancata sua audizione, atteso che la citazione dell’autore di quella relazione rappresenta uno degli effetti della scelta del rito speciale premiale, senza che possa inferirsene una qualche limitazione delle risultanze probatorie raccolte su mandato direttamente della P.O. la quale – ex art. 327-bis c.p.p. – può alternativamente avvalersi delle investigazioni eseguite dal Difensore e dai suoi ausiliari, a partire dal momento dell’incarico professionale e al fine di “ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito”.
L’investigatore privato, però, non è sufficiente che sia munito di licenza amministrativa ex art. 134 T.U.L.P.S., occorrendo, ai sensi dell’art. 222 disp. att. c.p.p., che egli abbia “maturato una specifica esperienza professionale che garantisca il corretto esercizio dell’attività” e altresì che, in ossequio a quanto stabilisce il D.M. n° 269/01.12.10, disponga della specifica autorizzazione prefettizia a svolgere indagini nel procedimento penale, di cui alla c.d. “macro-area”  rubricata all’art. 5 (” Qualità dei servizi di investigazione privata e di informazione commerciale”).
Infatti, siccome il suddetto D.M. n° 269/10, in vigore dal 16.03.2011, ha rimodulato la disciplina relativa agli istituiti di investigazione privata, è rimasta invariata la previsione – restrittiva, nel senso su indicato – che l’investigatore privato autorizzato a svolgere indagini difensive in sede penale è soltanto quello che opera “su istanza degli Avvocati”, atteso che il Regolamento prevede al punto “a.V): attività d’indagine difensiva, volta all’individuazione di elementi probatori da far valere nell’ambito del processo penale, ai sensi dell’articolo 222 delle norme di coordinamento del codice di procedura penale e dall’articolo 327-bis del medesimo Codice”, così impedendo ogni diversa suggestione ermeneutica, atta a dilatare il novero dei soggetti abilitati a conferire l’incarico per indagini finalizzate alla ricerca di elementi di prova da utilizzare nel contesto del processo penale.

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