Infedeltà coniugale: quando è il caso di rivolgersi ad un investigatore privato
L’infedeltà coniugale non è sicuramente il più grave dei problemi del mondo ma può essere oggetto di grande dolore per chi ne è vittima.
In verità è un fenomeno molto più diffuso di quanto possa sembrare ma di cui nessuno ama parlare. Eppure gli investigatori privati sono sempre al lavoro per stanare i traditori ed il web ha creato una nuova serie di strategie per nascondere la relazione extra-coniugale. Se prima andava di moda la pausa pranzo lavorativa come miglior momento per tradire il proprio partner, oggi esistono app e chat private che consentono di agire indisturbati senza essere scoperti.
Perché le persone tradiscono?
Gli studi che analizzano il tradimento coniugale evidenziano ovviamente il fatto che è originato da problemi interni alla coppia, problemi che possono riguardare uno o entrambi i coniugi. La vita coniugale richiede un impegno importante che spesso si traduce in stress e voglia di evadere e che può culminare con il tradimento. Essendo questa una delle maggiori cause di divorzio e motivo di scontri tramite avvocati per la “divisione” di ciò che resta del matrimonio giunto al termine, in molti si affidano ad un investigatore privato per ottenere ciò che spetta loro per legge, come affidamento dei figli e suddivisione dei beni comuni. Purtroppo per i matrimoni con figli, la separazione di questo genere è molto dolorosa e non è quasi mai destinata a terminare con un accordo soddisfacente da entrambe le parti. Resta però fermo il punto per cui un tradimento coniugale costituisce una violazione di un accordo civile e, come tale, prevede delle conseguenze.
Violazione della privacy e acquisizione prove
Ad un occhio attento è facile capire se il partner stia tradendo ma non è altrettanto semplice dimostrare che lo faccia. Per questo il lavoro dell’investigatore privato in questi casi è quello di reperire informazioni circa prove di infedeltà coniugale che possono condurre ad un divorzio legale a vantaggio di chi lo ha subito. Ovviamente esistono termini legali oltre i quali neanche l’investigatore privato può spingersi ma resta comunque un validissimo supporto per stanare il tradimento e rivolgersi ad un avvocato. Difatti può non bastare il reperimento di chat private o di oggetti “inusuali” tra i beni personali del traditore ma occorrono prove certe che il tradimento si sia consumato. In questi casi vengono meno le premesse fondanti il matrimonio e quindi si può procedere al divorzio.
Il tradimento dinanzi ad un giudice
Il tradito non può procedere privatamente a reperire le prove perché non conosce i limiti di legge che riguardano la violazione della privacy, un dettaglio rilevante ai fini dell’ottenimento del divorzio. I messaggi e le mail, difatti, possono costituire una violazione della sfera personale del traditore e non essere presi in considerazione ai fini della separazione. Anche le testimonianze di amici e parenti possono non essere considerate prove ma in ogni caso è la decisione del giudice a stabilire cosa sia rilevante rispetto a cosa non lo è. Quello di affidarsi ad un investigatore privato è il miglior modo per smascherare il tradimento senza commettere errori grossolani di violazione della privacy e senza invalidare le ragioni del coniuge tradito a favore del traditore.
Se sospetti che il tuo partner ti stia tradendo, contattaci. Siamo al tuo fianco nella ricerca della verità.
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Tradimento in fase di separazione
Si può tradire durante la causa di separazione?
L’infedeltà dopo che i ricorsi sono stati depositati può rilevare per l’addebito?
Potrebbe succedere che una coppia non vada più d’accordo e che, perciò, decida di separarsi. Dal momento della separazione, come noto, i coniugi sono liberi di vivere separatamente e di iniziare nuove relazioni con altre persone. La separazione, prima ancora del divorzio, infatti cancella l’obbligo di fedeltà. Ma cosa accade nel caso in cui si scopra un tradimento in fase di separazione? Se, ad esempio, il marito si accorge solo dopo aver depositato il proprio atto in tribunale che la moglie in realtà ha un altro uomo e che, probabilmente, proprio per questo è stata distante e anaffettiva, può ugualmente chiedere l’addebito nei suoi confronti? Si può tradire durante la causa di separazione?
Sul punto, è intervenuta più volte la giurisprudenza. La Cassazione, in particolare, ha avuto modo di chiarire quando l’infedeltà è causa di responsabilità e quando, invece, non implica alcuna conseguenza.
Cosa succede a chi tradisce la moglie o il marito?
Uno dei doveri del matrimonio è la fedeltà. La violazione di tale obbligo, però, non comporta alcuna sanzione sul piano civile, come ad esempio il risarcimento del danno, neanche quando causa sofferenze psicologiche e morali. Sono esclusi solo i casi in cui l’infedeltà, per le modalità pubbliche con cui viene realizzata, arrechi un pregiudizio all’onore e alla reputazione del coniuge: quando cioè, nell’ambiente esterno, è a tutti noto il legame extraconiugale. Tale situazione, infatti, arreca un danno all’immagine della vittima che potrà chiedere un risarcimento del danno.
Ma allora cosa rischia concretamente chi tradisce il marito o la moglie? Le uniche conseguenze dell’infedeltà sono due e operano solo sul piano civile:
- la perdita del diritto al mantenimento;
- la perdita dei diritti successori.
Così se l’ex coniuge dovesse morire dopo la separazione, ma prima del divorzio, il traditore non sarà considerato suo erede. Allo stesso modo, quest’ultimo, anche se privo di reddito o comunque con uno stipendio molto basso, non potrà rivendicare l’assegno di divorzio.
Quelle che abbiamo appena descritto sono le conseguenze di un tradimento rivelato durante il matrimonio. In tali casi, infatti, accertato nella causa di separazione che il matrimonio è cessato solo a causa della relazione extraconiugale di uno dei due coniugi, il giudice pronuncia il cosiddetto “addebito” ossia dichiara responsabile il coniuge infedele a cui si applicheranno le due conseguenze di cui abbiamo appena parlato.
Dopo la separazione e prima ancora del divorzio, ciascun coniuge può intraprendere nuove relazioni sentimentali o anche solo fisiche. Non conta, quindi, il fatto che il matrimonio non sia stato definitivamente sciolto. Difatti, l’obbligo di fedeltà cessa già a partire dalla data di pubblicazione della sentenza di separazione.
Questo non toglie però che, ancor prima di questo momento, i due coniugi potrebbero già autorizzarsi a vicenda – firmando un apposito documento – a vivere separatamente e a intraprendere nuove relazioni. Un patto di questo tipo è stato ritenuto lecito.
Che succede a chi tradisce durante la causa di separazione?
Secondo quanto più volte affermato dalla giurisprudenza, il tradimento comporta l’addebito solo quando viene accertato che è stato questo l’effettiva causa dello scioglimento del matrimonio e non un’altra precedente.
Se, quindi, risulta che la coppia era già in crisi prima ancora dell’inizio della relazione adulterina da parte di uno dei due coniugi e che, pertanto, l’unione coniugale era già cessata – al di là della volontà di procedere già a una formale separazione – allora l’infedeltà non è causa di addebito e chi ha tradito non subirà conseguenze. Conseguenze che, come abbiamo appena anticipato, possono però consistere solo nell’addebito ossia nella perdita del diritto al mantenimento e all’eredità.
Questi concetti sono stati affermati dalla Cassazione con riferimento al tradimento in fase di separazione. Non vi è dubbio che, se i due coniugi stanno provvedendo a separarsi è perché ritengono ormai conclusa l’esperienza matrimoniale e che l’unione “materiale e spirituale” che dovrebbe legarli sia cessata. Dunque, il tradimento avvenuto durante la separazione non è causa di addebito perché non è questo il principale e originario motivo per il quale i coniugi si lasciano. Esso è, piuttosto, la conseguenza di una disunione ormai conclamata.
Da ciò deriva che chi tradisce durante il giudizio di separazione, o ancor di più di divorzio, non subisce conseguenze.
Se hai bisogno di scoprire e dimostrare un tradimento, contattaci.
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Oggi su Libero. Parliamo di controllo minori che fanno uso di droghe.
L’utilizzo di droghe tra i preadoloscenti è un fenomeno dilagante. Come fare ad arginare questo problema? Ne abbiamo parlato oggi su Libero.
Scarica l’Articolo – Libero 15 Gennaio 2020
Tradimento e neurobiologia della delusione
La delusione influisce sul nostro cervello in modo doloroso a causa di neurotrasmettitori come il GABA, che subiscono una notevole alterazione.
Vi sono aspetti della nostra vita che il cervello vive in modo particolarmente doloroso. Le situazioni in cui la nostra fiducia verso qualcuno viene meno, sono causa di una sofferenza particolarmente lunga nel tempo.
Diamo per scontato che familiari, partner o amici a noi molto cari non ci deluderanno. Eppure, spesso il destino decide di cambiare rotta e far crollare il nostro castello di aspettative e certezze. Questa esperienza, definita semplicemente come una perdita di sicurezza, viene interpretata a livello cerebrale come un segnale di allarme per la nostra stessa sopravvivenza.
Le delusioni subite mettono un freno alle ambizioni e spesso rendono l’individuo molto più prudente in termini di aspettative.
I neurotrasmettitori sono sostanze chimiche che trasmettono dei segnali ai neuroni. Grazie a questa neurochimica, vengono favorite le emozioni, i comportamenti, i pensieri ecc. Esistono due neurotrasmettitori in grado di regolare l’esperienza della delusione. Si tratta del glutammato e del GABA, che lavorano su una precisa parte del nostro cervello chiamata abenula. Maggiore è l’apporto di questi due neurotrasmettitori nell’abenula, tanto maggiore sarà la sensazione di delusione.
L’impatto di una delusione mantenuta nel tempo nella maggior parte dei casi sfocia in depressione. Ciò significa che quando il rilascio di GABA e glutammato è particolarmente intenso, esiste un rischio maggiore di soffrire di questo disturbo psicologico.
Difenditi la tua dignità e la tua salute. Non permettere a nessuno di tradire la tua fiducia. Contattaci:
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Le prove del tradimento in un divorzio giudiziale
In un divorzio giudiziale, per dimostrare il tradimento del coniuge è necessario presentare prove “legali” che possono essere testimonianze, prove fornite da un detective, fino a sms ed email
Nella maggior parte dei divorzi la causa principale è il comportamento adultero dell’uno o dell’altro coniuge. Il tradimento comporta la possibilità di addebito a carico del coniuge infedele, motivo per cui moglie o marito traditi devono comprovare il comportamento adultero per mezzo di prove “legali”. Tuttavia, poiché le prove abbiano valore, va dimostrato che il tradimento è stata la causa scatenante della crisi di coppia ed è stato consumato durante il matrimonio.
La strada più battuta in questi casi è quella di affidarsi a un professionista, un investigatore privato che, nel rispetto della legge, e a mezzo di foto, filmati e registrazioni, confermi il comportamento adultero dell’ex coniuge. A termine del suo compito, il detective fornisce al cliente un report dettagliato su quanto osservato nel periodo di lavoro.
Per quanto riguarda invece gli sms, le chat e le email, il discorso si fa un po’ più complesso. Il problema principale è che manca una normativa chiara ed esauriente in materia, che indichi se i messaggi di testo rappresentano un prova legale da esibire in sede di giudizio. A riempire questo vuoto ci sono le sentenze dei giudici che di volta in volta si sono espressi sul tema.
Secondo la Corte di Cassazione, l’sms rappresenta “una prova assolutamente valida in una causa di divorzio”, purché il cellulare venga depositato in toto. La trascrizione della conversazione o la stampata della stessa non fungono da prova legittima, in quanto possono essere contestate dalla controparte.
Non è ammessa come prova la testimonianza di una chat che deriva da app o software spia che riescono a intercettare tutte le conversazioni desiderate.
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Infedeltà: vendetta o perdono?
Il tradimento è la forma più atroce di sofferenza. Rappresenta la concretizzazione di un abbandono e di un danno, accompagna i coniugi verso la perdita della fiducia e della progettualità, a volte senza possibilità di ritorno.
La scoperta del tradimento fa precipitare il tradito in un baratro di sconforto e sofferenza. Tra social e app, amori online e dating per incontri amorosi, tradire, oggi, è molto più facile di ieri.
Il web facilita i tradimenti, i doppi legami e le doppie vite, per sfociare poi in un tasso di crescente aumento di separazioni e divorzi. Il concetto di fedeltà sembra essere in disuso, come se rimanere in coppia, nel rispetto e nell’esclusività, fosse ormai diventato desueto.
Alcuni traditori seriali mostrano segni di depressione e di narcisismo, presentano disturbi pregressi dell’attaccamento, fame d’amore e dipendenza affettiva. Tra i partner candidati al tradimento abbiamo, senza dubbio, gli infelici.
I partner fedifraghi credono di vivere momenti di felicità rubata, molto diversi dal quotidiano e dalla fatica del vivere, momenti ad alta gradazione emozionale ed erotica, senza mettere in pericolo la loro unione principale.
E chi viene tradito, come reagisce?
C’è chi nega a sé stesso l’accaduto, nasconde la sofferenza sotto il tappeto del non detto, e va avanti.
C’è chi non contempla nessuna mediazione e tantomeno riparazione, non accetta una possibile terapia di coppia e approda direttamente al legale per una separazione.
C’è chi, invece, per lenire il dolore, desidera soltanto la vendetta, senza possibilità alcuna di vagliare altre traiettorie amorose.
Prima di ogni cosa, però, bisogna assicurarsi e poter dimostrare che il tradimento che sospettiamo sia reale.
Diventa quindi necessario rivolgersi a dei professionisti, che possano cancellare ogni dubbio.
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Boom di tradimenti nelle cene aziendali per le feste
Festività natalizie periodo “propizio” per i tradimenti e le relazioni extraconiugali: le feste aziendali come occasione per trasgredire. Nuovi studi a carattere internazionali rivelano che la propensione al tradimento aumenta in occasione delle festività natalizie. «Una tendenza che, indipendentemente dall’emisfero e dal clima, vale a livello globale perché il Natale è un momento di svago che molti sfruttano per liberare lo stress dell’intero anno» spiega Alex Fantini, fondatore di Incontri-ExtraConiugali.com, il sito più sicuro dove cercare un’avventura in totale discrezione e anonimato.
Ma quanti sono in Italia i traditori di Natale? Secondo un sondaggio condotto in questi primi giorni del mese da Incontri-ExtraConiugali.com su un campione di mille uomini e mille donne di età compresa tra i 24 ed i 65 anni, è risultato che 7 italiani su 10 aspettano proprio la cena aziendale di Natale per concretizzare un tradimento.
E, sebbene il luogo di lavoro non sia il preferito da chi è in cerca di un’avventura, il momento delle feste natalizie rappresenta un’eccezione: il 65% del campione ha ammesso di aver avuto un qualche tipo di approccio con un collega, seppure poi non consumato del tutto, durante la cena aziendale dell’anno precedente.
«Le feste organizzate dall’azienda sono la scusa perfetta per divertirsi senza il proprio partner e per interagire in maniera rilassata con i colleghi in un contesto meno formale rispetto a quello di lavoro» puntualizza Alex Fantini.
Ma solo 3 italiani su 10 concretizzano poi la scappatella con un collega. Quattro su 10 preferiscono trovare l’amante online ed usare la scusa della cena aziendale solo come escamotage.
Per quanto riguarda le festività natalizie, il 70% degli intervistati ha confermato che ha organizzato od organizzerà un incontro speciale di Natale con l’amante: la metà di loro organizzando una cena natalizia ad hoc o un’uscita insieme e l’altra metà organizzando un incontro direttamente in un hotel per passare al sodo ed avere più privacy.
4 italiani su 10 acquistano un regalo di Natale anche per l’amante e sono le donne a spendere di più rispetto agli uomini.
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Teenager, alcol e fumo: il nuovo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità
Secondo l’ultimo rapporto dell’ISS, i teenager italiani bevono troppo alcol e iniziano a fumare troppo presto: i ragazzi cercano l’euforia, invece si intossicano. Ecco come e quanto.
I teenager bevono troppi alcolici: un fenomeno in crescita, anno dopo anno, e in buona (si fa per dire) compagnia. Per esempio la prima sigaretta – o i primi tiri della “siga” dell’amico – si fuma già alle medie, e lo fanno soprattutto le ragazze. I dati dell’ultimo rapporto dell’Istituto superiore di sanità (ISS) sui teenager (i ragazzi di 11-15 anni) parlano chiaro: nel 2018, il 43% dei 15enni italiani (erano il 38% nel 2014), e il 37% delle 15enni (il 30% nel 2014) ha fatto ricorso al binge drinking, cioè ha bevuto cinque o più bicchieri di uno o più mix alcolici in un’unica occasione con l’intenzione di sbronzarsi.
Riguardo alle sigarette, anche se l’89% dei teenager ha dichiarato di non aver fumato negli ultimi 30 giorni dal momento della rilevazione dei dati del rapporto ISS, risulta che le 15enni fumano di più rispetto ai coetanei maschi: il 32% rispetto al 25%. Alcol e fumo, quindi, sono un binomio sempre più diffuso tra i giovanissimi che, bevendo, si sentono più simpatici, euforici e disinibiti – e fumando più grandi e indipendenti. Nella percezione comune più diffusa non ignorano che alcol e fumo li intossicano, ma rinviano il pensiero alla ricerca della loro piccola soddisfazione immediata.
Sbronzarsi insieme. Ogni anno, più di 3.000 minorenni finiscono al pronto soccorso per intossicazione etilica. Succede, di solito, le sere del fine settimana. Così ubriachi che non si reggono in piedi, cominciano a vomitare e stanno male, fino quasi a perdere conoscenza, tanto da richiedere l’intervento dell’ambulanza. Ma quelli che arrivano in ospedale sono la punta dell’iceberg. Almeno 700.000 adolescenti tra gli 11 e i 17 anni consumano alcolici (in barba alla legge che vieta la vendita e la somministrazione di queste bevande ai minori di 18 anni), e oltre 100.000 tra loro fanno binge drinking. Se consideriamo anche la fascia d’età tra 18 e 25 anni (dove il consumo occasionale o quotidiano riguarda quasi l’80% dei maschi e il 65 % delle femmine), si contano complessivamente in Italia quasi 1.600.000 giovani bevitori, tra cui 900.000 che “si alcolizzano” in misura smodata.
I numeri presentati nell’ultimo rapporto dell’Istituto superiore di sanità, illustrato in occasione dell’Alcohol Prevention Day 2019, fotografano un fenomeno dilagante. «Siamo il Paese europeo dove si inizia a bere più precocemente. E spesso il via libera è dato in famiglia: sono gli adulti a far assaggiare vino, birra o aperitivi a bambini di appena 11 anni», denuncia Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol dell’ISS.
D’altronde, l’accesso alle bevande è alla portata di tutti: al pub, al bar, in discoteca, in pizzeria. Secondo un’indagine del Moige (Movimento italiano genitori), due volte su tre nei locali nessuno controlla l’età degli acquirenti, nonostante sia illegale servire da bere agli under 18. Addirittura, quasi la metà degli esercenti continua a vendere alcolici anche a minori visibilmente ubriachi.
Più nocivo per i minorenni. L’alcol è una molecola tossica per l’organismo, per chiunque, capace di danneggiare le cellule, soprattutto del fegato e del cervello. Ma nei ragazzini è ancora più nocivo. «Fino a 16 anni, infatti, manca l’enzima, chiamato alcol-deidrogenasi, necessario per metabolizzare l’etanolo ingerito e disintossicare il corpo», spiega Scafato, «e fino a 21 anni questo enzima non è completamente efficiente, per cui l’alcol resta in circolo più a lungo. Servono almeno due ore ai maschi e tre ore alle femmine per smaltire una birra o un calice di vino.» E quando non si è padroni di sé è anche più facile commettere sciocchezze, come salire in macchina o in motorino per tornare a casa.
Le stragi del sabato sera. Nonostante il Codice della strada preveda zero alcol fino a 21 anni, gli incidenti per guida in stato di ebbrezza sono ancora la prima causa di morte tra i giovani. Per sensibilizzare i giovani sono diffuse le campagne sul “bere consapevole”, ma «è uno slogan senza senso», afferma Scafato: «come si può parlare di responsabilità a chi ancora non ha sviluppato un cervello razionale? La piena maturità arriva solo a 25 anni e, nel frattempo, l’alcol ingerito tra i 12 e i 25 anni può danneggiare strutture cerebrali in piena formazione.»
I teenager “ragionano” con i lobi temporali, hanno un cervello irrazionale, emotivo, impulsivo. Crescendo, aumentano le connessioni nella corteccia prefrontale, che portano giudizio e autocontrollo, e si diventa adulti. «L’alcol interferisce con questo processo», spiega Scafato: «bere in questa fase può pregiudicare l’integrità della memoria e della razionalità, anche per il futuro». A rischiare sono soprattutto coloro che praticano binge drinking: il 17% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, con picchi del 50% fra chi frequenta le discoteche.
Mi dai una siga? E poi c’è un altro problema: alcol chiama sigaretta. Chi beve tende a fumare di più, e viceversa. La nicotina è l’altra piaga che spopola tra i giovani: uno su cinque fuma abitualmente e quasi la metà dei minorenni ha provato a fare qualche tiro. Per curiosità, perché lo fanno gli amici, per vincere il disagio alle feste o sentirsi più attraenti. «La maggior parte comincia a fumare tra i 15 e i 20 anni, il 10% addirittura prima, tra 10 e 13 anni; più della metà dei giovani fumatori consuma tra le 10 e le 19 sigarette al giorno», dice Luisa Mastrobattista, ricercatrice del Centro nazionale dipendenze e doping dell’ISS.
Quasi tutti pensano “smetto quando voglio”, anche se poi non è così. «Quella giovanile è la fascia di popolazione in cui, anno dopo anno, registriamo il maggior incremento di fumatori», afferma Mastrobattista. In particolare, tra la terza media e la seconda superiore, sono le ragazze a fumare di più: il 24% contro il 16% dei ragazzi, secondo l’indagine Global Youth Tobacco Survey, coordinata nel nostro Paese dall’Istituto superiore di sanità. In seguito le differenze si attenuano e gli uomini arrivano a fumare più delle donne.
Sigarette elettroniche. E poi ci sono le E-Cig: fra i giovani la diffusione delle sigarette elettroniche ha ormai quasi raggiunto quella delle sigarette tradizionali. «Molti ragazzi iniziano a fumare così, senza essere stati prima fumatori di tabacco», dice Luisa Mastrobattista, «ma poi finiscono per affiancare la sigaretta elettronica a quella tradizionale, oppure passano a quest’ultima.» Riguardo ai rischi, «mancano studi a lungo termine», afferma la ricercatrice, «ma certamente la nicotina può essere la porta d’ingresso verso altre dipendenze».
Un fatto comunque è certo: come per l’alcol, anche per le sigarette i divieti non servono. Sette volte su dieci, in tabaccheria, i ragazzi riescono ad acquistare un pacchetto senza fatica, malgrado l’inasprimento della normativa che prevede il ritiro della licenza in caso di vendita a minori. Stessa cosa per le sigarette elettroniche: pochissimi negozianti rifiutano l’acquisto ai minorenni, come sarebbe invece previsto per legge.
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Indagini su assenteismo: come effettuarle e perché, tutti i vantaggi per le aziende
L’assenteismo rappresenta un problema molto serio che interessa, non solo le strutture pubbliche ma anche quelle private. È infatti frequente che molte aziende si rivolgano alle agenzie investigative o a un investigatore privato per scoprire e documentare casi di assenteismo illecito al fine di porre rimedio al problema. Un dipendente che colleziona troppe assenze crea una situazione ingestibile per gli altri colleghi e rappresenta un danno economico ingente per l’organizzazione. Secondo il codice civile, articolo 2119, prima della scadenza del termine del contratto si può licenziare una persona che senza preavviso non si presenta oppure che presenta dei documenti di vario genere, fasulli, per giustificare le sue assenze. La scelta migliore è il licenziamento per assenteismo, ma deve essere dimostrata la sua assenza ingiustificata.
Perché fare delle indagini su assenteismo.
Condurre indagini per assenteismo consente di collezionare tutte le prove documentali in grado di far licenziare senza rischi e perplessità, un dipendente assenteista o scorretto. Attraverso delle investigazioni per assenteismo si ha la possibilità di capire effettivamente se il collaboratore sta svolgendo il suo lavoro in modo giusto oppure no. Indagare sull’assenteismo significa riuscire ad avere qualunque tipo di certezza e risposta in merito a delle assenze sospette a lavoro.
Come può aiutare un indagine assenteismo per il licenziamento per giusta causa.
Un’indagine per assenteismo efficace supporta senza ombra di dubbio un datore di lavoro ad attivare il legittimo meccanismo di licenziamento per giusta causa. Infatti, il servizio offerto da un investigatore privato permetterà di avere un dossier dettagliato e ben documentato sui comportamenti illeciti e le assenze non giustificate da parte di un dipendente infedele. Procedere quindi con il licenziamento per giusta causa sarà passo successivo e legittimato grazie alla raccolta di prove che colgono il dipendente nello svolgimento di un secondo lavoro o impegnato in attività che non giustificano l’assenza a lavoro. Le ragioni che saranno scoperte attraverso il lavoro di un’agenzia investigativa permetteranno di giustificare qualunque azione intrapresa dall’azienda in merito al comportamento assenteista del dipendente infedele.
I casi più diffusi di assenteismo.
Vi sono diversi casi di assenteismo che di solito l’azienda deve affrontare nel corso della sua vita professionale. In ogni caso di licenziamento per giusta causa non può essere che la soluzione migliore. La condotta del lavoratore che ha agito in modo scorretto nei confronti dell’azienda, come assenza per falsa malattia o falso infortunio, rappresenta un grave danno economico e d’immagine alla società. Il ruolo dell’investigatore privato consiste nel trovare le prove adeguate e relative all’ingiustificato assenteismo mettendo il datore di lavoro nella giusta posizione di procedere con il licenziamento, arginando l’inadempienza ai danni dell’impresa. Affidarsi ad un’agenzia investigativa seria, affidabile e con anni di esperienza nel settore delle investigazioni private è la scelta che determinerà il successo o la sconfitta della vostra azienda.
Rivolgiti a noi.
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Cinque secoli di infedeltà scritti nel Dna
I figli nati fuori dal matrimonio in Europa sono molti meno di quelli che comunemente si pensa: circa l’1%, e sono più frequenti nei ceti poveri e operai, soprattutto delle città più popolose. Un dato che si è osservato nell’arco di cinque secoli, con il picco nella Rivoluzione Industriale, per poi ridursi nel ‘900, anche per il calo demografico. A raccontarlo è il Dna nello studio condotto dall’università di Lovanio in collaborazione con quella di Bologna e pubblicato sulla rivista Current Biology.
“Il dato rassicurante è che il tasso di paternità fuori dal matrimonio è basso, circa l’1% e non il 25% come si sente dire in giro, ma ha subito un picco che coincide con la Rivoluzione industriale nell’800, con la crescita demografica, soprattutto nelle aree urbane”, chiarisce Alessio Boattini, ricercatore dell’ateneo bolognese. Una conclusione cui i ricercatori sono arrivati unendo l’analisi del Dna con quella dei dati genealogici. Sono partiti selezionando un campione di 513 coppie di maschi adulti viventi, residenti in Belgio e Olanda che, sulla base dei dati genealogici, avevano un antenato paterno in comune e perciò dovevano avere lo stesso cromosoma Y.
“Dopo di che è stato fatto il confronto con il Dna, vedendo se tra le coppie che avevano un avo condiviso c’era corrispondenza a livello genetico. In caso contrario, ciò indicava che c’era stata una paternità fuori dal matrimonio”. Un’analisi che è stata fatta andando a ritroso nel tempo fino alla metà del 1500. Non sono state trovate differenze significative nel tasso di figli extra-coniugali tra i due Paesi, né tra le varie confessioni religiose (protestanti e cattolici), mentre è risultato molto minore tra i contadini, artigiani benestanti e mercanti (circa l’1%) rispetto a operai e tessitori del ceto più basso (4%). Non solo.
Più aumentava la densità abitativa, più aumentavano i figli fuori del matrimonio. I ricercatori hanno calcolato che variava da circa lo 0,5% delle classi medio-alte e gli agricoltori che vivevano in città scarsamente abitate al 5-6% delle classi più basse che vivevano in città più popolose. “Ci sono dunque dei fattori che influenzano i comportamenti sessuali e che sono legati alle circostanze sociali – conclude Boattini – Per il futuro contiamo di ampliare il campione studiato e magari svolgere lo stesso tipo di ricerca anche in Italia”.
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Legge 104: attenzione agli abusi
Non è possibile fruire dei permessi della legge 104 senza assistere il disabile, pena il licenziamento. Ma vi sono alcune regole da seguire che è bene conoscere.
Per chi ha un familiare con hadicap grave, usufruire dei permessi retribuiti ex lege 104/92 può essere un problema se non si presta bene attenzione a come utilizarli. Come noto, la legge consente la fruizione dei permessi di assenza dal lavoro (fino a tre giorni al mese) a coloro che assistono parenti disabili in stato di gravità, purché non siano ricoverati o assistiti in strutture ospedaliere o sanitarie in via continuativa.
Cosa significa questo? Significa che se la persona da assistere è ricoverata a tempo pieno presso strutture sanitarie pubbliche o private, il lavoratore non ha diritto ai permessi delle legge 104, mentre se la stessa è ricoverata in via non continuativa (si pensi ad esempio ai centri di soggiorno diurno per anziani o alle case famiglia), è possibile usufruire dei permessi dal lavoro per assisterla. Questo perché, lo scopo dei permessi è quello di garantire al disabile l’assistenza sanitaria di un familiare di cui si ha diritto e che non viene concessa se il ricovero o l’assistenza sanitaria non è a tempo pieno.
Permessi legge 104, come si utilizzano
Se la persona disabile non è ricoverata, l’assistenza del familiare assume contorni non ben definiti, ma è bene sapere che ogni abuso sarà punito dalla legge e si rischia il licenziamento. Infatti, i permessi della legge 104 sono concessi solo per assistere la persona in difficoltà. Ma quali attività si possono svolgere durante il permesso? Come ha stabilito la Corte di Cassazione in diverse sentenze, la legge non impone al dipendente un’assistenza continuativa se ne ce n’è bisogno, ma nemmeno è permesso chiedere tali permessi per fare i propri comodi. Più precisamente il dipendente può allontanarsi di tanto in tanto dall’abitazione del disabile, anche per gestire le proprie esigenze cui non ha potuto far fronte durante la settimana lavorativa. L’unico obbligo è quello di non spendere gran parte della giornata per le proprie finalità e trascorrerla, invece, con il portatore di handicap.
Cosa dice la Corte di Cassazione
È vietato – dice la Corte di Cassazione – durante il giorno di permesso, riposarsi a casa, uscire con gli amici, fare attività sportiva o una vacanza.
È, invece, permesso fare la spesa, recarsi in farmacia, accompagnare i figli a scuola, insomma espletare tutte quelle piccole necessità che fanno parte della normale vita quotidiana di una famiglia e che non ricadano in un abuso dei permessi per assistere familiari con handicap. Quando si usufruisce dei permessi della legge 104 – precisa la Corte – il lavoratore è libero di graduare l’assistenza al parente secondo orari e modalità flessibili che tengano conto, innanzitutto, delle esigenze dell’handicappato. Il che significa che nei giorni di permesso, l’assistenza, sia pure continua, non necessariamente deve coincidere con l’orario lavorativo, proprio perché tale modo di interpretare la legge andrebbe contro gli stessi interessi dell’handicappato (come, ad esempio, nelle ipotesi in cui l’handicappato, abbia bisogno di minore assistenza nelle ore in cui il lavoratore presta la propria attività lavorativa).
Rischio licenziamento
Poiché lo scopo dei permessi ex lege 104/92 è quello di fornire assistenza alla persona affetta da disabilità grave in ambito familiare, viene esclusa la possibilità di usufruire di tali permessi per scopi personali o per evitare di andare al lavoro. In altre parole, i permessi sono concessi solo per assistere persone in difficoltà ed è un dovere del dipendente farlo. La violazione di tale principio è passibile di sanzioni in abito lavorativo fino al licenziamento. Numerosi sono i casi in cui il datore di lavoro ha accertato tramite investigatore privato che il dipendente usufruiva dei permessi delle legge 104 per andare in vacanza o quando i familiari disabili erano già assistiti a tempo pieno in strutture sanitarie. In questo caso, scatta, infatti, il licenziamento per giusta causa qualora il lavoratore abbia rilasciato false dichiarazioni al datore punibili penalmente.
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